Le tre fasi del mio rapporto con Control

1. Uah, che bella ‘sta vibe da uffici del catasto col dimonio dentro! Uh, che fighi questi piccoli enigmi più elaborati della media da tripla A! Beh, dai, il combattimento è divertente, bello dinamico, scoraggia il parcheggiarsi dietro al divano, e poi è bello ammazzare nemici lanciandogli i comodini! Adesso mi faccio tutte le missioni opzionali!

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Mario + Rabbids: Sparks of Hope con prole

Ho approcciato Mario + Rabbids: Sparks of Hope con Figlia, dopo che mi aveva osservato a lungo mentre giocavo a Kingdom Battle e dopo che ci eravamo divertiti a giocare assieme al DLC di Donkey Kong. Inizialmente siamo rimasti spiazzati dalla quantità veramente significativa di modifiche rispetto al primo episodio e oso dire che forse eravamo pure un po’ infastiditi: lei perché, in quanto bambina, non ama le novità inattese, io perché a me il modello di XCOM piace, oh! Poi, però, la faccenda ha iniziato a convincerci e nel frattempo ci siamo anche assestati su una nuova modalità di gioco a turni, nel senso che proprio facevamo un turno a testa, pur discutendo comunque assieme su come affrontare le situazioni (le fasi fuori dalle battaglie erano invece per lo più in mano sua). E ci siamo divertiti un botto, dall’inizio alla fine.

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Doom Eternal non lo amo ma lo stimo

I seguiti diretti (di videogiochi) mi attirano raramente, c’ho sempre troppo più interesse per l’idea di giocare a qualcosa di nuovo. Non è che li schifi per partito preso, è che mi scendono più o meno inconsciamente di priorità e c’è sempre qualcos’altro di più interessante che m’attira. E infatti, una fra le poche serie di cui ho giocato a praticamente tutto è Resident Evil, che ha avuto spesso il coraggio di stravolgersi, anche a costo di inciampare e finire con la faccia in una pozza di vomito. Se poi ci aggiungiamo che il Doom del 2016, pur essendomi piaciuto molto, in quelle missioni finali che avevano finito le idee tre missioni prima, mi aveva frantumato le palle al punto da spingermi ad attivare il God Mode giusto per tirare fino in fondo, era altamente improbabile che mi mettessi a giocare al seguito. Doom Eternal era insomma chiaramente finito nella scatola dei “sono sicuro che mi piacerebbe ma ci giocherò quando avrò tempo, in quella fascia temporale che va fra il raggiungimento dell’età pensionabile e il letto di morte”. Solo che poi [anonimo] me ne ha passato un codice che suppongo gli avanzasse da un Humble Bundle o qualcosa del genere e boh, l’ho installato, l’ho scaricato, ci ho giocato, l’ho mollato a metà perché m’era venuta voglia di Atomic Heart, che ho mollato a metà perché dovevo giocare a Jedi Knight per Retroutcast. Poi ho finito Jedi Knight, poi ho finito Atomic Heart, poi mi sono rimesso su Doom Eternal e per un’ora buona sono stato preda della confusione, non ci ho capito nulla. Poi mi sono ritrovato e ho tirato dritto. E poi, ancora una volta, verso la fine mi sono spaccato i maroni, perché arriva inevitabilmente quel momento in cui il gioco non c’ha più nulla da inventarsi e diventa solo un cumulo infinito di orde dei nemici che hai già ucciso cento volte e devi uccidere altre centosessanta volte e io a un certo punto anche basta abbasso il livello di difficoltà e tiro dritto perché mi passa proprio la voglia di impegnarmi e voglio solo arrivare in fondo. Ma questo è un problema mio.

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Orgoglio e pregiudizio e popcorn

La scorsa primavera, sono entrato in libreria con Figlia. L’idea era di trovare uno o due libri nuovi che potesse leggere con Madre nelle sere in cui la parcheggia a letto lei. Figlia ha posato subito lo sguardo su Calamity, l’adattamento in romanzo del bel film d’animazione che avevamo visto al cinema qualche tempo prima. A me i libri tratti dai film stanno sui maroni, quindi ho dovuto respingere il fastidio iniziale, ma insomma, che scelga lei. Curiosando in giro, sono finito davanti alla sezione dei libri in inglese e ho notato una versione “semplificata” di Pride and Prejudice. Sulla copertina campeggiava il logo Awesomely Austen, una collana interamente dedicata al proporre versioni semplificate per i più giovani dei libri di Jane Austen. Ho immaginato che Madre avrebbe apprezzato, ho proposto a Figlia, Figlia ha accettato solo a patto che prendessimo pure Calamity, i due libri sono stati nuclearizzati molto in fretta, è andata a finire che nel giro di relativamente poco tempo abbiamo acquistato e hanno letto con grande entusiasmo l’intera collana (quindi anche Sense and Sensibility, Emma, Mansfield Park, Persuasion e Northanger Abbey).

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L’estate che sciolse ogni cosa sembra King ma non è

L’estate che sciolse ogni cosa m’è spuntato davanti un giorno qua mentre esploravamo la nuova libreria tutta piccina piccina coi proprietari simpatici e dai facciamo muovere l’economia e promuoviamo i negozi indipendenti comprando completamente a caso quindici libri da leggere durante le vacanze nonostante che ne siano già sedici in coda sullo scaffale e poi alla fine delle vacanze ne avremo letti quattro, dei quali uno era già iniziato, uno è un PDF da sette pagine e uno è il catalogo dell’Ikea. Sto romanzando, ma neanche troppo. Comunque, dicevo, m’è spuntato davanti nella sezione dei libri in lingua originale, aveva dei commenti prezzolati confortanti in copertina e m’è sembrato intrigante nelle premesse. Le premesse: un tizio di [cittadina della provincia statunitense negli anni Ottanta] mette un’inserzione sul quotidiano locale per chiedere al diavolo di andare a trovarlo e dopo qualche giorno arriva un ragazzino che sostiene di essere il diavolo.

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Low

Nel 2015, avevo letto il primo paperback di Low e, parlandone assieme all’avvio di Shutter, scrivevo: “Questi li metto assieme non tanto perché siano collegati, quanto perché sono entrambi portatori sani (assieme a Saga e Black Science), di una sorta di corrente esplosa negli ultimi tempi all’interno del fumetto americano: quella della fantasia! Pare incredibile ma gli americani si sono improvvisamente (nuovamente) accorti del fatto che è possibile utilizzare i fumetti per inventare mondi totalmente lontani, fuori di testa, fantasiosi, originali ed evocativi sul piano visivo, davvero “altri” e affascinanti, a prescindere poi da cos’è che vadano a raccontare. Nel caso specifico, Low racconta una storia nella sostanza abbastanza ordinaria, fatta di regni sommersi, divisione sociale, rabbia e vendette, ma con una protagonista affascinante, un gran bel ritmo, la forza di saper piazzare nel modo giusto i cliffhanger e tutte quelle cose che ho detto qua sopra. Shutter, invece, è completamente fuori di testa in tutto quel che racconta, anzi, quasi più in quello e nei personaggi protagonisti che nell’ambientazione, che in fondo è e rimane un pianeta Terra quasi normale. Quasi. Comunque, sono due fumettoni. E uno l’ha scritto Rick Remender. Che mi sa che mi piace più di Matt Fraction.”

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Cat + Gamer

Correggetemi se sbaglio ma credo che in Italia, di Wataru Nadatani, sia arrivato solo Rockwell il Cavaliere Scarlatto, del quale non so nulla e che a uno sguardo superficiale mi attira come una botta di carta vetrata sul pene, ma che (anche col senno dell’aver letto la sua roba (credo) più recente), dalla copertina del primo volume mi trasmette la passione per i videogiochi ad ambientazione fantasy che emerge anche dalla sua roba (credo) più recente. La sua roba (credo) più recente si intitola Nekogurashi no Gēmā-san, Cat + Gamer nell’edizione americana (candidata agli Harvey Awards!), La gameuse et son chat nell’edizione francese su cui ho messo mano io. È (credo) il suo secondo manga a tema gatti e, a giudicare dall’abbondanza che trovo fra gli scaffali di fumetterie e librerie qua in Francia, si inserisce in (quello che mi sembra essere) un filone di manga coi gattiny, talvolta protagonisti assoluti, talvolta appartenenti ai protagonisti (e in effetti mi sa che questi stessi sono ormai due filoni separati e belli consolidati). Sbaglio?

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Mercury

Ho Mercury sullo scaffale più o meno dall’uscita e mi ha sempre incuriosito ma non ci avevo mai giocato. Poi, qualche tempo fa, per qualche motivo, m’era improvvisamente tornata la voglia. E forse ho portato sfiga, visto che poi è uscita la notizia della morte di Archer Maclean. M’è scattata una gran tristezza e a quel punto mi sono sentito in dovere di giocarci. Mi sono anche sentito in dovere di comprare una batteria nuova per la PSP, perché quella originale aveva salutato. Ma insomma.

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Colossal Cave

Forse, all’annuncio che i Williams sarebbero tornati sulla scena con un remake del gioco che ispirò la loro carriera pionieristica, Colossal Cave Adventure, modernizzato tramite interfaccia punta e clicca, grafica 3D e supporto alla VR, qualcuno si è fatto trasportare dall’entusiasmo e s’aspettava chissà cosa, ma insomma, eh. Stiamo parlando di una roba nata come passatempo durante il lockdown, trasformata in progetto commerciale “per tastare il terreno e riprovarci”, portata avanti da due settantenni che han trascorso gli ultimi due decenni girando il mondo in barca in pensionamento anticipato: non è che ci si potesse aspettare Half-Life: Alyx reskinnato a tema Adventure.

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Cose a caso