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Victor: La storia segreta del dottor Frankenstein

Facciamo finta che io abbia inserito qui un pippone su come si sceglie di adattare i titoli dei film per il mercato italiano, sull’idea – suppongo – che se non ci metti un “dottor” la gente non coglie e se non ci metti un “La storia segreta” il titolo non è abbastanza ganzo e su come, se vogliamo, tutto questo si incastri alla fin fine piuttosto bene coi giochetti postmoderni e metacinematografici che caratterizzano la sceneggiatura di Max Landis (famoso per essere figlio di John, per aver scritto Chronicle e per come trascorre le giornate cercando di risultare il più intelligente di tutti su internet). Facciamo finta anche perché alla fin fine ce l’ho inserito e andiamo a parlare di Victor Frankenstein, nuovo film di Paul McGuigan, già regista di SlevinPush, quattro episodi di Sherlock e svariate altre cose che non avete visto. Com’è? Eh, non è brutto, ma non è neanche bello e alla fin fine è un po’ come se non ci fosse.

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Slevin – Patto Criminale


Lucky Number Slevin (USA, 2006)
di Paul McGuigan
con Josh Hartnett, Lucy Liu, Morgan Freeman, Ben Kingsley, Bruce Willis, Stanley Tucci

Slevin è un film che gioca con lo spettatore, si diverte a farlo e certo non se ne vergogna. Prende amichevolmente in giro l’abitudine del “twist” narrativo che ribalta la prospettiva e lo fa in maniera del tutto aperta. Troppo fuori dall’ordinario le premesse, troppo allucinate e simboliche le splendide scenografie, troppo favoleggianti e ironici i toni con cui sono presentati i personaggi, per non capire fin dall’inizio che “c’è qualcosa sotto”.

Se preso per il verso giusto, però, l’ultimo film di Paul McGuigan funziona, grazie a dei divertenti dialoghi tarantiniani e alle solite notevoli performance di tutto il cast. Ma bisogna essere disposti a giocare col regista, accettare le bottarelle di gomito e le strizzate d’occhio, sorvolare su certe forzature e su un’aria da esercizio di stile fine a se stesso che permea buona parte del film.

Quando poi arriva il momento del citato twist, però, a sorprendere non è tanto il prevedibile sviluppo dell’intreccio, quanto piuttosto la piega tremendamente noir che prende il tutto. Un tipo di narrazione già intrapreso nei minuti iniziali, ma poi abbandonato in favore di un’atmosfera sognante e sarcastica, talmente sopra le righe da risultare quasi fiabesca. E invece negli ultimi minuti si torna alla realtà, alla disperazione e al cinismo, seppur tagliato da uno sferzante raggio di luce.