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Pet Sematary

In Francia, Pet Sematary si intitola Simetierre. Non c’è, quindi, il riferimento a un cimitero per animali ma rimane il giochino della storpiatura nello scrivere la parola. E questa è forse la cosa più interessante che ho da dire sul remake di Cimitero vivente, un film dal quale non è che mi aspettassi molto ma in cui avevo osato sperare un po’, perché arrivava dai registi di quella bella cosetta angosciante che è Starry Eyes. E invece è andata male, ne è venuto fuori il solito horroretto moscio, confezionato in maniera professionale ma privo di guizzi, che fa intravedere fra i rami la personalità dei registi ma la soffoca nella sua coltre da cinema di produzione e riesce anche ad ammazzare quel paio di idee che pure ci sarebbero. Per un attimo ci speri, poi ti accontenti di stare guardando una roba dignitosa, poi vieni ucciso dal finalaccio e ti rimane solo addosso il dispiacere per ciò che sarebbe potuto essere. Che palle.

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First Man – Il primo uomo

La chiave di First Man sta nella natura del suo protagonista e nella sua ricerca disperata di un modo per lasciarsi alle spalle un lutto senza senso. È la storia di Neil Armstrong o, meglio, della spedizione che l’ha portato ad essere il primo uomo sulla Luna o, meglio ancora, del viaggio, interiore e letterale, che ha dovuto affrontare per elaborare una perdita tremenda. Sta tutto lì. La narrazione “a tunnel”, talmente incentrata su Armstrong che finisce per trasformare tutti gli altri personaggi in macchiette, tenute in piedi da un branco di grandi caratteristi. La traccia emotiva del film, che parte da quel lutto per raccontare di una persona lanciata interamente verso un singolo obiettivo, ma non per pura ambizione, più per la ricerca di qualcosa che non trova dentro di sé, di un modo folle per colmare un buco incolmabile. Le scelte registiche, che si focalizzano sul tormento del protagonista per traballare con la macchina da presa in spalla fino all’improvvisa liberazione finale, al placido passeggiare nel deserto lunare. Il mostrare (quasi) sempre tutto da dentro, da dentro Armstrong, da dentro i suoi veicoli, da dentro i suoi razzi, ignorando quel che avviene là fuori o comunque spingendolo sullo sfondo. È un film coi paraocchi, lanciato nel tunnel, diretto verso il suo obiettivo e per nulla disposto a rallentare o guardarsi attorno, tanto quanto il proprio protagonista che, anzi, quando si concede di farlo, viene punito e preso a schiaffi.

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Everest

Everest (USA, 2015)
di Baltasar Kormákur
con Jason Clarke, Josh Brolin, Jake Gyllenhaal, Ang Phula Sherpa, John Hawkes, Naoko Mori, Michael Kelly, Emily Watson, Keira Knightley, Sam Worthington, Robin Wright

Nel lontano 1996, quarantatré anni dopo la prima scalata di successo fino alla vetta dell’Everest, esplose improvvisamente il boom delle salite “commerciali”, già in atto da qualche tempo ma particolarmente forte durante quell’estate. Gente che può permetterselo (economicamente, ma forse non sul piano dell’abilità) e quindi paga delle guide per (provare a) farsi portare sul tetto del mondo. Chi non lo farebbe? Ma soprattutto: perché farlo? Eh, lo chiede verso metà film anche il giornalista Jon Krakauer, inviato per un reportage della spedizione, senza ottenere una risposta davvero convincente. E risposte convincenti non ne dà in assoluto Everest, un film per molti versi risaputo e semplice, che non mira mai alto (battutona!) ma fa più che bene il suo dovere.

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