Deepwater – Inferno sull’oceano

La Deepwater Horizon era una piattaforma petrolifera dinamica, semi-sommersa e [aggiungere termini tecnici a piacere] che veniva utilizzata per esplorare potenziali giacimenti di petrolio e prepararli all’estrazione. O qualcosa del genere. Nel 2010, grazie a un sapiente mix di scarsa manutenzione, decisioni discutibili arrivate dall’alto (British Petroleum) e, magari, anche un po’ di sfiga, si è scatenato un disastro esplosivo, che ha provocato la totale distruzione della piattaforma, 11 morti e 17 feriti fra le 126 persone a bordo e un conseguente abnorme riversamento di petrolio nel Golfo del Messico, per uno fra i disastri ambientali peggiori della storia. Per un certo periodo di tempo, il film ispirato a queste vicende avrebbe dovuto dirigerlo J.C. Chandor (Margin Call, All is Lost, 1981 – Indagine a New York), che però ha poi mollato per “divergenze creative” e ha lasciato il progetto nelle mani di Peter Berg (Friday Night Lights, Hancock, Battleship, Lone Survivor).

Sarebbe bello poter vedere anche il Deepwater Horizon di J.C. Chandor, che presumibilmente si sarebbe concentrato in larga misura sulle manovre corporative alle spalle del disastro, evitando di limitare quell’aspetto alla faccia da schiaffi di John Malkovich e il lato ecologico della faccenda a due righe di testo sui titoli di coda. Ma non lo vedremo mai e abbiamo invece il Deepwater Horizon di Peter Berg, che ovviamente ha girato il suo film, concentrandosi sulla giornata fatale, sugli elementi più spettacolari e sul punto di vista delle persone direttamente coinvolte nel macello, celebrando lo sforzo eroico di chi ha rischiato o perso la vita nel tentativo di aiutare il prossimo suo. E ne è venuto fuori un bel disaster movie, forse un po’ piatto sul lato dell’approfondimento, ma sentito, non esagerato nello spingere sul melodramma e girato con la solita grande padronanza e l’ottimo senso del ritmo di Berg.

Più o meno tutta la vicenda viene seguita attraverso gli occhi di Mike Williams (Mark Wahlberg), l’unico per il quale ci viene dato un minimo di background, mentre attorno a lui girano tanti personaggi definiti più dal lavoro che svolgono e dagli attori che li interpretano che da altro. Per il resto, la prima parte del film si concentra sulla preparazione del disastro, seppellendo con un ammasso sorprendente (e forse figlio del film che avrebbe diretto Chandor) di tecnoblabla, che aiuta però a contestualizzare gli eventi, grazie anche all’ottimo lavoro nel definire gli spazi e nel mostrare la struttura nel suo complesso. Il ritmo tiene, il senso di disastro incombente dato dall’essere spettatori consapevoli viene gestito alla grande e quando il film esplode (letteralmente) Berg non sbaglia un colpo. Deepwater è insomma un gran bel disaster movie, asciutto, senza lungaggini a base di frigne, che limita il sentimento al minimo indispensabile (rendendolo forse per questo anche più forte) e mette molto bene in scena il macello: teso, brutalmente fisico, con grandi effetti speciali, almeno due o tre immagini che lasciano davvero di sasso, un uso eccellente del suono e una clamorosa (di questi tempi) capacità di non farsi prendere dalla logorrea dell’esplosione, al punto che quasi ti stupisci che il macello finisca così in fretta.

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