The End of the Tour – Un viaggio con David Foster Wallace

The End of the Tour – Un viaggio con David Foster Wallace è il primo film di James Ponsoldt a raggiungere le sale italiane (Off the BlackSmashed, dalle nostre parti, sono usciti direttamente in home video e il bellissimo The Spectacular Now non si è proprio mai visto). Eppure, è un autore che chi ama seguire il cinema indipendente americano conosce bene, perché i suoi primi tre film sono uno meglio dell’altro. E il quarto? Beh, il quarto è quello forse meno potente sul piano emotivo, ma per altri versi potrebbe essere anche quello più ambizioso, per il tipo di storia e di temi che prova a raccontare, cimentandosi con un genere, il biopic, che è difficile affrontare senza scivolare nel tripudio di cliché. E, volendo semplificare molto la natura dei quattro film di Ponsoldt,  immagino che arrivi nelle sale italiane perché la storia di David Foster Wallace è più vendibile, dalle nostre parti, rispetto a tre racconti sull’alcolismo nella provincia americana.

In realtà il film non segue la vita di Wallace e, tutto sommato, parla forse più del giornalista impegnato a intervistarlo, del rapporto quasi vampiresco che viene a crearsi fra reporter e oggetto del suo lavoro e della pseudo amicizia nata nel corso di cinque giorni. David Lipsky (Jesse Eisenberg) è uno scrittore non particolarmente di successo, impegnato anche come giornalista, che decide di dedicare un profilo al nuovo fenomeno David Foster Wallace (Jason Segel), nei confronti del quale prova grande ammirazione ma anche una sana dose di invidia. Viene quindi inviato da Rolling Stone a vivere con lo scrittore durante gli ultimi cinque giorni del suo tour promozionale e li trascorre provando a conoscerlo e a scardinarne personalità e segreti. Ne viene fuori un film composto da, sostanzialmente, cento minuti di chiacchiera infinita, scritta, diretta e interpretata alla grande.

Tutti i film di Ponsoldt sono uniti, oltre che dal tema dell’alcolismo, tutto sommato presente anche qui, seppur in misura molto minore, dalla sua capacità fenomenale di dirigere gli attori tirandone fuori una naturalezza rara. E infatti Eisenberg e Segel sono eccellenti, più per le interpretazioni in sé che per l’aderenza abbastanza relativa alle persone che riproducono. In più, Ponsoldt, nonostante una sceneggiatura estremamente verbosa e non firmata da lui, è bravissimo come al solito nel muoversi attorno alle persone, raccontare per immagini e infilare molti piccoli dettagli, sguardi, cambi di espressione che dicono tantissimo sul rapporto fra i suoi due protagonisti, sue queste chiacchierate in costante oscillare fra sincerità e performance, tra pantomima e confessione, tra effettivo interesse nei confronti di chi ti sta davanti e desiderio di sfruttare a proprio vantaggio quel che è disposto a darti.

Ecco, al di là del suo essere un film ben scritto, interpretato e diretto, molto scorrevole nonostante la sua staticità e capace di gestire con grazia le svolte narrative inevitabili del genere, il bello di The End of the Tour sta forse soprattutto lì. Nel modo in cui, pur raccontando il viaggio di Lipsky e offrendo un qualche ritratto di Wallace emerso in quelle chiacchierate, finisce soprattutto per riflettere sul rapporto fra intervistato e intervistatore, su quanto ci sia di vero in ciò che raccontiamo a noi e agli altri.

Per l’angolo dell’ovvio, segnalo che in un film tutto incentrato sulla chiacchiera fra due bravi interpreti, beh, guardandolo doppiato ci si perde tanto lavoro degli attori e un adattamento mediocre può fare danni pazzeschi. Poi vai a sapere, io l’ho visto in originale.

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