22.11.63

22.11.63 si portava sulle spalle un doppio peso mica da ridere. Da un lato, è un adattamento dell’omonimo romanzo di Stephen King, autore adorato da legioni forcone-munite e le cui fortune sullo schermo, grande e piccolo, sono a dir poco alterne. Dall’altro è la serie con cui Hulu, servizio di streaming americano che prospera su un catalogo di serie e show televisivi, prova a infilarsi di soppiatto nella sfida tra Netflix e Amazon sul fronte delle opere originali. La serie curata da Bridget Carpenter costituisce infatti la proposta più ambiziosa messa in campo fino a oggi da Hulu, tanto sul piano dei valori di produzione quanto su quello dei nomi coinvolti, e teoricamente potrebbe rappresentare un punto di partenza, a cui è già stato dato seguito con The Path. Ma come è venuta fuori? Bene ma non benissimo.

Metto le mani avanti: amo molti libri di Stephen King ma non ho mai letto 22.11.63, quindi posso al massimo dire la mia sul fatto che la serie coglie abbastanza bene un certo stile narrativo e certe tematiche dello scrittore americano, la sua capacità di contestualizzare a dovere i mondi che racconta e la maniera particolarmente aggraziata tramite cui infila contaminazioni di genere e momenti apparentemente fuori contesto nelle storie più disparate. 22.11.63 non è assolutamente un horror, è più che altro una storia romantica di fantasia, che applica il più classico spunto da viaggi nel tempo a un momento fondamentale della storia americana come l’assassinio di John F. Kennedy. Eppure, quando vira improvvisamente verso toni più cupi, funziona quasi sempre in maniera molto efficace e mai forzata. Per il resto, il lavoro di taglia e cuci in fase di adattamento sembra nella norma, con aggiunte anche significative legate al contesto televisivo (per esempio la maggior importanza data al personaggio di Bill) e l’inevitabile serie di tagli, che rendono magari un po’ troppo fumosi alcuni aspetti, tipo il ruolo dell’uomo col cappello o gli sviluppi delle ultime puntate, ma nel complesso non “rompono” la storia.

Più in generale, il racconto è efficace e potente, anche se magari discutibile nell’interpretazione che dà del mistero Kennedy, e trova diversi punti alti tanto nel rapporto fra i personaggi e in quasi tutti i momenti che costruiscono la relazione fra Jake (un James Franco abbastanza in parte) e Sadie (una Sarah Gadon che illumina lo schermo), quanto negli sviluppi da thriller legati al tentativo di impedire uno fra gli omicidi più famosi della storia. Non tutto funziona benissimo, il personaggio di Bill fatica a trovare un senso che non sia quello più ovvio (permettere a Jake di esternare le sue riflessioni schivando la trappola della voce narrante letteraria) e a conti fatti diversi altri comprimari, pur interessanti e graziati da un ottimo lavoro di casting, si rivelano essere totalmente accessori. Dove però 22.11.63 non sbaglia, e grazie a questo rimane una visione piacevole e coinvolgente fino alla fine, è nei due aspetti fondamentali. Da un lato c’è la ricostruzione storica, efficace nonostante qualche scenografia un po’ cheap, equilibrata nel mescolare un senso di purezza e allegra ingenuità ai lati più oscuri e inquietanti del periodo. Dall’altro, ci sono i due personaggi chiave, Jake e Sadie, efficacissimi nella storia romantica che fa da cuore del racconto e perno attorno a cui ruotano le svolte conclusive. Insomma, se 22.11.63 è un primo passo, è un bel primo passo, gradevole nonostante qualche lungaggine, da apprezzare per l’ambizione e a cui è facile perdonare qualche scivolone.

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